L‘Oltrepò Pavese vanta una storia vinicola che affonda le radici in tempi antichissimi. Per comprendere pienamente la sua identità vinicola, bisogna guardare oltre l‘orizzonte temporale e immergersi in un passato ricco di eventi e tradizioni. Questo territorio è stato conteso e influenzato da numerose culture, ognuna delle quali ha lasciato un segno indelebile sulla sua viticoltura.
Le prime testimonianze della viticoltura nell‘Oltrepò Pavese risalgono all‘epoca preromana. Un reperto eccezionale rinvenuto a Casteggio, un tronco di vite fossilizzato, ci parla di un paesaggio che ha mantenuto costanti i suoi contorni attraverso i secoli. Durante l‘epoca romana, i vigneti erano organizzati in fundi, appezzamenti di terreno collinare con case per la lavorazione delle uve. La presenza di anfore di terracotta testimonia l‘attività vinicola di quel periodo.
Con l‘avvento dei Longobardi e successivamente delle comunità monastiche, la viticoltura nell‘Oltrepò Pavese conobbe un significativo sviluppo. I monaci, con la loro meticolosa organizzazione, promossero la coltivazione della vite e ne migliorarono le tecniche. Sebbene nel Medioevo si preferissero le pianure, fu nell‘epoca moderna che si comprese appieno la vocazione vinicola delle colline dell‘Oltrepò.
Alla fine del Settecento, sotto il controllo del Regno di Sardegna, il territorio assistette alla dissoluzione dei grandi latifondi e dei feudi, favorendo il ritorno della coltivazione della vite nelle mani dei piccoli agricoltori. Grazie al loro impegno, l‘Oltrepò divenne un‘importante area di approvvigionamento di vino per le città lombarde, soprattutto Milano.
L‘Ottocento fu un periodo di grandi difficoltà per la viticoltura dell‘Oltrepò Pavese. La diffusione della peronospora e dell‘oidio negli anni ‘50 del secolo causò gravi danni alle coltivazioni. Ma fu l‘arrivo della fillossera all‘inizio del Novecento a rappresentare la minaccia più devastante, distruggendo un gran numero di vitigni autoctoni e causando enormi perdite produttive.
Nonostante queste avversità, i viticoltori dell‘Oltrepò Pavese riuscirono a trasformare le difficoltà in opportunità. Vitigni come la croatina e la barbera, meno vulnerabili alle epidemie, cominciarono a diffondersi. La croatina, in particolare, è diventata uno dei vitigni più importanti della regione. Allo stesso modo, la barbera, con la sua resistenza e generosità, ha giocato un ruolo cruciale nella ripresa della viticoltura.
Un altro elemento chiave della rinascita viticola dell‘Oltrepò Pavese fu l‘introduzione del pinot nero. Questo vitigno arrivò dalla Francia tra la fine dell‘Ottocento e l‘inizio del Novecento, grazie all‘iniziativa di Agostino De Pretis, più volte presidente del Consiglio del Regno d‘Italia. Il pinot nero trovò in questo territorio le condizioni ideali per crescere, diventando il vitigno più nobile della regione e un pilastro della produzione di spumanti Metodo Classico.
La storia vinicola dell‘Oltrepò Pavese è una narrazione di resilienza e innovazione. Attraverso secoli di sfide e successi, la regione ha sviluppato una tradizione vinicola unica, capace di produrre vini di altissima qualità. Ogni bottiglia racconta una storia di passione, dedizione e amore per una terra che, nonostante tutto, continua a dare frutti straordinari.