L’Oltrepò Pavese è una terra dove il paesaggio parla di colline, tradizioni antiche e soprattutto di vite e vino, da sempre elementi centrali dell’identità locale. In effetti, la vite è la vera regina dell’Oltrepò da oltre due millenni. A testimoniarlo sono fonti storiche di epoca romana, reperti archeologici unici e una cultura enologica che si tramanda di generazione in generazione.
Una storia antica raccontata dagli autori classici
Il legame tra l’Oltrepò e il vino affonda le radici nei secoli. Già Polibio (206-124 a.C.) menzionava la ricchezza agricola di queste terre, citando l’abbondanza di grano, orzo e vino. Ma sono Columella (4-70 d.C.) nel De Re Rustica e Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) nella sua Naturalis Historia a descrivere in modo più dettagliato l’Oltrepò romano, con particolare riferimento a località come Clastidium (Casteggio) e Liturbium (Retorbido), definite “coperte di ubertosissimi vigneti”.
Origini etrusche o liguri? La vite arriva in Oltrepò
L’origine della vite in Oltrepò potrebbe risalire addirittura all’VIII secolo a.C., quando gli Etruschi iniziarono a popolare la Pianura Padana. Altri studi ipotizzano invece che furono i Liguri, grazie ai contatti con i Greci, a introdurre la coltura della vite. Qualunque sia la verità, è certo che già in epoca pre-romana l’uva e il vino erano parte integrante della vita quotidiana.
Tecniche antiche e cultura vitivinicola
Plinio descrive due sistemi di coltivazione della vite usati nell’Italia del nord:
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Arbustum italicum: viti maritate ad alberi bassi con tralci ricadenti.
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Arbustum gallicum: viti che si arrampicavano su alberi alti, con tralci intrecciati da un albero all’altro, formando una sorta di festone vegetale.
Gli Etruschi, invece, utilizzavano viti non potate che si avvinghiavano a piante come olmi, pioppi e frassini, ma la qualità del loro vino era modesta. Diversamente, nel sud Italia e in Liguria si affermarono forme di allevamento più moderne, come la vite ad alberello, ancora oggi simbolo di qualità.
Reperti archeologici unici: testimonianze del vino nell’Oltrepò
Il passato enologico dell’Oltrepò non è solo scritto nei libri, ma viene confermato da importanti ritrovamenti archeologici.
A Broni, in località Sorino, è stato rinvenuto un dolium integro, un gigantesco contenitore in terracotta per la fermentazione e conservazione del vino. Alto 148 cm, con capacità di oltre 1000 litri, è oggi custodito al Museo Archeologico di Casteggio.
Sono state rinvenute anche numerose anfore vinarie risalenti al I secolo d.C., a conferma dell’intensa produzione e commercio di vino nella zona. Un altro reperto curioso è una foglia di vite in bronzo, scoperta a Casteggio, probabilmente parte di un candelabro o di un porta-lucerne, simbolo della presenza viva della vite anche nell’arte.
Infine, la brocca di bronzo trovata a Oliva Gessi (III sec. d.C.) del tipo Blechkanne, utilizzata probabilmente per servire vino, dimostra quanto questa bevanda fosse centrale anche nei rituali della vita quotidiana.
Le botti dei Celti e l’evoluzione del vino
Se i Romani trasportavano il vino in anfore e dolia, sarà solo più tardi che, grazie ai Celti, si inizieranno a utilizzare le botti di legno. Strabone, geografo greco, descrivendo la Celtica Cispadana, che comprendeva anche l’Oltrepò, racconta di “botti più grandi di case”, sottolineando la straordinaria abbondanza di vino prodotta in queste terre
Oggi come allora: l’Oltrepò e il suo vino
A distanza di oltre 2000 anni, il vino continua a essere l’anima dell’Oltrepò Pavese. Con le sue 13.000 ettari di vigneti, è una delle principali zone vitivinicole d’Italia, patria di spumanti metodo classico, Pinot Nero, Bonarda e Riesling.
Il passato glorioso di queste terre non è un semplice ricordo, ma un’eredità viva che si rinnova ogni giorno nelle cantine, nei filari, nei profumi del mosto e nei calici che raccontano storie antiche con sapori moderni.